Babywearing: Quando portare è scritto nel DNA
Diventare genitori porta con sé una marea di consigli, spesso non richiesti, come il celebre “Non tenerlo troppo in braccio, si vizia!”. Ma fermiamoci un attimo: viziarsi di cosa?
Non ho mai visto un neonato con un vizio come fumare o giocare d’azzardo. Un bambino che cerca il contatto con la mamma o il papà sta solo esprimendo un bisogno naturale di accudimento. E se decidiamo di portarlo in fascia, stiamo davvero rischiando di “viziarlo”?
Il contatto: un bisogno primordiale
La nostra società ci spinge spesso a credere che lasciare piangere i bambini, ignorando i loro bisogni, sia una strategia per renderli più indipendenti. Ma se torniamo indietro nel tempo, quando queste “teorie” non esistevano, come venivano accuditi i neonati?
Facciamo un salto nel passato e scopriamo insieme come il contatto fisico sia radicato nel nostro DNA.
Portare: una necessità ancestrale
In tempi antichi, lasciare un neonato da solo significava esporlo a pericoli mortali: animali selvatici, freddo e fame. La mamma portava quindi il suo piccolo sempre con sé, anche durante le attività quotidiane come la caccia o il lavoro nei campi. Questo istinto di protezione ha dato origine a una forma di accudimento che oggi conosciamo come babywearing.
Grazie al riflesso di prensione, i neonati si aggrappavano istintivamente alla madre, che a sua volta rispondeva al bisogno del piccolo di sentirsi al sicuro. Questo non è solo un comportamento umano: lo ritroviamo anche nel mondo animale.
Essere genitori è un viaggio pieno di sorprese e sfide, e spesso ci sentiamo dire: “Non prendere troppo in braccio il tuo bambino, lo vizierai!”. Ma sorge spontanea una domanda: “Viziarlo di cosa?”.
Un bambino che desidera il contatto fisico con mamma e papà sta semplicemente seguendo i suoi bisogni naturali. In particolare, se scegliamo il babywearing, ovvero il portare in fascia, questa pratica risponde in modo naturale e istintivo alle esigenze del nostro piccolo. Ma quali sono le origini e i benefici di questa tradizione millenaria? Scopriamolo insieme.
I mammiferi e le diverse strategie di accudimento
Nel regno animale, i mammiferi si dividono in quattro categorie principali a seconda del modo in cui accudiscono i loro piccoli:
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Mammiferi nidiacei
Animali come gatti, cani e topi nascono immaturi: i cuccioli non camminano, hanno gli occhi chiusi e dipendono totalmente dalla madre per nutrirsi e protezione. La mamma li lascia temporaneamente nel nido solo per cercare cibo. -
Mammiferi nidifughi
Elefanti, cavalli e pecore nascono già abbastanza autonomi: sono in grado di camminare e seguire il branco quasi subito. -
Mammiferi portatori passivi
Esempi come i canguri mostrano una strategia particolare: i piccoli restano nella tasca marsupiale della mamma fino a raggiungere l’autonomia. -
Mammiferi portatori attivi
Infine, ci sono animali come le scimmie, i cui cuccioli si aggrappano al corpo della madre. Questo permette loro di essere sempre vicini al nutrimento e protetti dai pericoli.
Gli esseri umani: mammiferi portatori attivi
Osservando il comportamento e le caratteristiche dei neonati umani, possiamo classificarci come mammiferi portatori attivi. Ecco alcune evidenze:
- Riflesso di prensione: i neonati afferrano istintivamente ciò che sfiora il palmo della mano.
- Riflesso di Moro: un meccanismo che li spinge ad aggrapparsi per protezione.
- Fisiologia del corpo: la naturale curvatura della schiena e la posizione delle anche sono perfettamente adattate al contatto ravvicinato con il corpo del genitore.
Tutto ciò dimostra che i bambini sono predisposti ad essere portati. Il babywearing, quindi, non è un capriccio moderno, ma una pratica antica e radicata nella nostra biologia.
Portare in fascia: tra accudimento e benessere
Quando portiamo il nostro bambino in fascia, stiamo rispondendo ai suoi bisogni primari. I neonati richiedono contatto, calore e ascolto per sentirsi sicuri. Man mano che crescono, questi bisogni si evolvono naturalmente, portandoli verso l’autonomia senza traumi.
Benefici del babywearing
- Benessere fisico: la posizione corretta favorisce lo sviluppo della colonna vertebrale e delle anche.
- Riduzione del pianto: il contatto rassicura il bambino, riducendo il tempo dedicato al pianto.
- Libertà per il genitore: consente di avere le mani libere mentre si accudisce il piccolo.
- Sviluppo dell’attaccamento: rafforza il legame tra genitore e bambino, favorendo una crescita emotiva sana.
Abbandoniamo il mito del “vizio”
Portare in fascia non significa “viziare” il proprio figlio, ma rispondere con amore ai suoi bisogni. Crescerà sapendo di poter contare su una base sicura: la mamma o il papà. Questa sicurezza sarà fondamentale per affrontare il mondo con fiducia.
Abbandoniamo quindi le vecchie teorie basate sul pianto e sull’indipendenza precoce. I bambini non cercano surrogati, ma genitori che ascoltino ciò che è scritto nel loro DNA.
Conclusione: un legame che nasce dal contatto
Il babywearing non è una moda, ma un ritorno alle origini. Portare i propri figli significa rispettare il loro bisogno primordiale di contatto e accudimento. I frutti di questa scelta si vedranno nel tempo: bambini sicuri, fiduciosi e pronti a esplorare il mondo.
Per approfondire il tema, ti consigliamo di leggere il libro “Il bambino portato” di Esther Weber e di visitare la pagina ufficiale della International Babywearing Association.
Se vuoi saperne di più sulle tecniche di babywearing e scoprire le fasce più adatte, visita il nostro articolo su come iniziare ad usare la fascia.
Portare è un dono, per te e per il tuo bambino. Sperimenta il babywearing e scopri il piacere di crescere insieme.