Salute e Benessere

17 Novembre – Giornata mondiale della prematurità

L’odore. Si, l’odore di disinfettante. Quella è la prima cosa che ti colpisce entrando in reparto.
E il lavarsi le mani. Entrare, girare sulla sinistra per raggiungere il lavandino, lavarsi le mani con cura, asciugarle con le salviette usa e getta e concludere l’operazione passandosi il disinfettante con minuziosa cura.

Tutto questo, svolto con gesti precisi ed accurati, diventa quasi un rito ed è la prima cosa che tu, mamma, fai prima di poter vedere il tuo bambino.
Ovviamente non contando “la vestizione”.
Fuori dal reparto, infatti, ti bardi di tutto punto con il camice monouso e la cuffietta verdi.
Nei giorni di pioggia anche di calzascarpe ti dicono gli infermieri ma tu, per sicurezza, li vuoi indossare sempre.
Ecco, solo dopo tutto questo FINALMENTE puoi raggiungere tuo figlio.
Sempre che non ci siano delle emergenze, è chiaro, che ti costringono ad aspettare fuori e sempre con la speranza che l’emergenza non sia il tuo di figlio.
Vivi in perenne senso di pericolo, con tutti i tuoi sensi attivati e vigili e sembri quasi una di quelle prede che vivono nella savana, pronte a scattare per un nonnulla.
Solo che tu non puoi scappare.
Tu, annientato dalla paura, sei preda del destino.

Eccomi, sono Veronica e mia figlia è nata da un giorno.

Il papà l’ha vista ieri, dopo che dalla sala parto è stata trasferita in Terapia Intensiva neonatale ma a me non è stato permesso a causa del catetere.
Finalmente la vedo con i miei occhi! Lei, che sta lottando per la vita chiusa in una culla che sembra di cristallo e piena di tubicini che la trafiggono ovunque.
Lei, quel “cosino” tutto rosso, lungo poco più di una penna e che se infilasssi la mia mano nella culla riuscirei a coprirla interamente.
501 grammi di peso, prima del calo. Eh già, il calo, non è esente nemmeno lei che è nata così piccola.
La amo già da impazzire e vorrei toccarla ma non posso!
È così frustrante ed ingiusto ma se io la toccassi ora le causerei uno stress perché la sua vita è appesa ad un filo e tutti i suoi parametri sono in un equilibrio imperfettamente perfetto.
Però posso parlarle. Eh già, parlarle…
Ma dirle cosa?
Cerco nella mia testa parole per trasmetterle forza ed amore ma, fronte e mani appoggiate al vetro della iso (la culla) quasi a volerla abbracciare, me ne esco con un

“La mamma è qui amore mio. La mamma ed il papà ti amano tantissimo. Siamo qui, non preoccuparti. Ti vogliamo tanto bene. Amore sei bellissima, cucciola della mamma..”

Ed avanti così. Frasi banali, ripetute in loop quasi come fossero un mantra.
Il tempo lì dentro è strano, da un lato sembra essere infinito ma allo stesso tempo vola in un lampo. Il silenzio, poi, è tutt’altro che tale! O meglio, tutti parlano sottovoce ma gli allarmi dei vari sensori e il rumore dei macchinari sono assordanti.

Si impara molto velocemente a destreggiarsi tra quei suoni e a capire come leggere quelle macchine che prima avevi visto solo nelle puntate di E.R. Medici in prima linea.

La mia vita diventa l’ospedale, tutto gravita lì.

Quando non ci sono sto male perché vorrei esserci, non vorrei mai abbandonare la mia Vittoria.
Quando sono a casa sono dipendente dal telefono. Oh mamma, il telefono..
Diventa off limits, nessuno può chiamarmi perché devo lasciare libera la linea per l’ospedale.
In un paio di occasioni, durante i tre mesi di ricovero, ho letto sul display del telefono “Patologia Neonatale” e il mio cuore si è fermato.
Ho risposto con la voce strozzata ed il cuore martellante ma, per fortuna, non si è mai trattato di cose gravi.
La vita mia e di Robi diventa una routine scandita dalle 4 ore che mi sono permesse in ospedale (4 anni e mezzo fa, quando è nata Vittoria, l’ospedale era aperto per i genitori solo dalle ore 16 alle ore 20. Ora è invece aperto 23h su 24).

Quando sono a casa sopravvivo.

Il cuore e la testa sono là, con lei. E allora faccio la sola cosa che in questo momento mi fa sentire mamma-mamma, la sola cosa che è interamente in mio potere: mi tolgo il latte per poterle dare almeno quello. Il latte materno, che è la prima medicina per tutti i prematuri.
Anche quello diventa un vero e proprio rituale. Tiro fuori il tiralatte dalla sua busta, sterilizzo coppa, biberon e coperchio e preparo sopra al tavolo il biberon monouso dell’ospedale. Preparo la mia musica (sempre e solo Einaudi, Nightbook) e spargo sul divano le foto della mia cucciola. Ecco, posso cominciare.

In occasione della giornata mondiale della prematurità vogliamo sostenere tutto il  Team for Children Vicenza Onlus che è sempre al fianco di bambini e genitori.

Nata nel 1983 ad Agrigento, vivo in Veneto da oltre 20 anni, specializzata in marketing digitale e social media. Insieme a Francesco da 15 anni, ho una figlia di 7 anni. Appassionata di viaggi, condivido avventure su Instagram: @Adriana_Costanza.

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